RILIEVI PROCESSUALI EX PARTE CREDITORIS
Pressoché tutti gli istituti di credito si sono trovati, in tempi recenti, a dover affrontare l’ineludibile e dilagante problematica dei crediti deteriorati, altrimenti detti non performing loan (NPL).
In alcuni casi, la via prescelta per evitare pesanti impatti sui bilanci è stata quella della cessione dei crediti in parola, il più delle volte in blocco.
In altri casi, le banche hanno preferito mantenere la titolarità di tali crediti non performanti, il che però ha contestualmente comportato la necessità di individuare un’efficace strategia per la materiale organizzazione delle operazioni di (almeno potenziale) riscossione; in quest’ottica, sovente, si è optato per la sottoscrizione di un c.d. contratto di servicing, in forza del quale, in estrema sintesi, la banca di turno delega ad una società generalmente all’uopo costituita e spesso controllata da sé medesima il compito di porre in essere ogni opportuna azione giudiziaria e non per la gestione di un certo pacchetto di NPL.
Tanto nell’un caso (cessione) quanto nell’altro caso (coinvolgimento di un servicer), i contenziosi che si sono via via inevitabilmente sviluppati hanno dato l’occasione alle difese dei debitori per elaborare svariate eccezioni preliminari volte a contrastare le pretese della cessionaria e/o della mandataria.
Nel caso delle cartolarizzazioni, accade talora che il debitore opponente/convenuto/resistente metta in dubbio il fatto che la sua posizione sia stata effettivamente oggetto di cessione, il che tuttavia può essere facilmente smentito atteso che gli avvisi di simili operazioni sono soggetti a pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed in allegato viene reso noto l’elenco completo dei rapporti interessati; poiché questi ultimi sono inequivocabilmente individuati dal relativo Numero di Direzione Generale, la cessionaria potrà facilmente contrastare l’eccezione in parola.
Nel caso di azioni di recupero promosse tramite servicer, invece, è accaduto che il debitore eccepisse il presunto difetto di legittimazione ad agire del servicer; l’argomentazione, solo apparentemente banale, se non affrontata con cautela può rischiare di rivelarsi insidiosa, come comprova il caso deciso dal Tribunale di Bergamo, in persona del Giudice dott.ssa Maria Magrì, con sentenza in data 31/01/2022, che ha costituito lo spunto per il presente approfondimento.
Lo scopo del presente contributo non è quello di sviluppare un commento approfondito di tale pronuncia, ma semplicemente quello di condividere alcune brevi considerazioni che non possono non sorgere – si crede – nella mente di un avvocato che abitualmente si occupi di affari civili.
La questione di fondo può essere riassunta in questi termini: una società servicer agiva giudizialmente contro un debitore (trattavasi d’azione revocatoria ordinaria, ma ciò non riveste importanza) sentendosi da quest’ultimo opporre appunto un’eccezione di difetto di rappresentanza processuale; secondo la difesa di parte convenuta, in pratica, il servicer aveva radicato l’azione in parola in forza di una procura notarile affetta da indeterminatezza, nella misura in cui non permetteva di individuare esattamente quali rapporti – di pertinenza della banca mandante – gli fossero stati affidati in gestione, anche in sede contenziosa.
Il Tribunale, con pronuncia interamente in limine litis, riteneva fondata l’eccezione e per l’effetto disattendeva la domanda attorea.
Ciò premesso, si osserva che non è dato comprendere per quale ragione il Tribunale non abbia applicato il disposto dell’art. 182 comma 2° c.p.c., il che, a parere di chi scrive, costituiva atto dovuto: tale norma, infatti, non pare dare adito a possibili perplessità laddove impone al Giudice che abbia rilevato un “difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore” d’assegnare alla parte interessata termine per sanare tale vulnus.
Sul punto, ad ulteriore scanso d’equivoci, le Sezioni Unite Civili, con sentenza n. 9217/2010 (a cui veniva data continuità con successiva sentenza sempre a Sezioni Unite n. 4248/2016), hanno opportunamente osservato che “l’art. 182, secondo comma, cod. proc. civ., secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione può assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall’art. 46, comma secondo, della legge n. 69 del 2009, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”.
In ambito processuale, il Legislatore ha bensì preferito non configurare un meccanismo con valenza sanante ex tunc come quello previsto dell’art. 1399 c.c. nel caso di contratto stipulato dal falsus procurator, ma ciò nondimeno ha previsto – appunto con l’art. 182 comma 2° c.p.c. – la possibilità di annientare ex nunc le nullità derivanti dall’instaurazione di causa da parte di soggetto non munito ab origine d’adeguato potere di rappresentanza.
I paventati rischi connessi al fatto che il debitore di turno non abbia la sicurezza del fatto che un certo servicer sia effettivamente abilitato ad azionare validamente in giudizio, giusta procura, il credito di titolarità della banca creditrice sono, dunque, in realtà insussistenti: in caso di perplessità, infatti, il debitore potrà contestare formalmente la legittimazione ad agire del servicer e quest’ultimo, in tal caso, avrà il diritto d’ottenere termine a difesa dal Giudicante (che reputi prima facie non manifestamente infondata l’eccezione, s’intende) e quindi il dovere di comprovare opportunamente l’effettività del suo potere di rappresentanza, cosicché, in breve, si potrà capire senza margini d’incertezza se l’eccezione sia dotata di pregio o meno. A tacer del fatto che, a livello puramente teorico, la banca creditrice potrebbe anche decidere d’intervenire personalmente in causa stroncando quindi alla base ogni possibile protesta, a mente dell’orientamento per cui “il procuratore generale “ad negotia”, cui siano conferiti anche poteri di rappresentanza processuale, diviene titolare di una legittimazione processuale non esclusiva rispetto a quella originaria del rappresentato, il quale può subentrargli e sostituirlo in qualunque momento del processo, non escluso quello iniziale del grado” (vedi Cass. n. 14894/2017).
Conclusivamente e per completezza, non può non rilevarsi anche l’inconferenza della citazione, nella menzionata sentenza del Tribunale di Bergamo, di Cass. n. 28803/2019; in quest’ultima pronuncia, infatti, i Giudici di legittimità erano precisamente chiamati a vagliare la determinatezza dell’oggetto di una procura con la quale un rinomato istituto di credito aveva conferito ad una società il potere di gestione anche stragiudiziale di propri crediti definiti testualmente e semplicemente “crediti anomali“.
Era dunque proprio con specifico riferimento a quest’ambigua dicitura che la Corte Regolatrice enunciava la massima richiamata dal Tribunale di Bergamo, al quale però era stata sottoposta una fattispecie del tutto diversa: apprendiamo infatti che, nella procura contestata in causa, la società servicer veniva delegata a compiere ogni opportuna iniziativa con testuale riferimento ai “crediti affidati in gestione alla Mandataria”, il che per un verso non comportava alcuna anomalia sul piano formale poiché è certo possibile che una procura, oltre che riguardante un singolo negozio o la generalità indistinta d’affari di pertinenza del mandante, possa essere rilasciata anche per gruppo omogeneo d’affari (vedi in tal senso Cass. Civ., sez. I, n. 11097/2004) e per altro verso, quel che più conta, non determinava alcun pregiudizio neppure potenziale per le controparti processuali, per le ragioni dirimenti appena viste.
(approfondimento a cura dello Studio Legale Avv. Gamba e associati)